(padre Saverio Paolillo, missionario comboniano in Brasile)
Ho passato la mia infanzia ascoltando storie di guerra che, grazie a Dio, non ho conosciuto personalmente e non ho vissuto sulla mia pelle. Mio nonno fu costretto a partecipare a quella fallita campagna fascista per conquistare l’Abissinia (Etiopia) dal 1935 al 1936. Amava parlare di quel pezzo d’Africa e, soprattutto, si riempiva di orgoglio quando raccontava che, tornato a casa, durante una sfilata, ricevette una sonora sberla perché si rifiutò a togliersi il cappello durante il passaggio del gagliardetto del fascio. Mio padre fu arruolato nella Marina Militare Italiana e visse 4 anni della Seconda Guerra Mondiale (1939-1945) imbarcato su una nave cacciatorpediniere. Non gli piaceva molto ricordare quei giorni. Tralasciava i fatti più drammatici e raccontava le storie più divertenti che accadevano a bordo. Era la sua maniera di esorcizzare quell’esperienza drammatica. Mia madre aveva 8 anni quando iniziò il secondo conflitto mondiale. Insieme a mia nonna parlava del cibo razionato, delle enormi code per prendere un pezzo di pane, dei saccheggi ai treni in cerca di cibo, delle sirene che allertavano sugli imminenti bombardamenti, delle fughe ai rifugi per non soccombere sotto le bombe che piovevano dal cielo, degli attacchi della resistenza, delle colonne dei soldati nazisti e delle esecuzioni sommarie di civili innocenti in piazza pubblica come rappresaglia all’uccisione dei loro commilitoni. Ci tenevano a raccontare tutti i dettagli senza nascondere il terrore vissuto in quei momenti terribili. I loro racconti avevano un’importanza pedagogica. Servivano a farci “odiare” la guerra. Quando uno di noi si lamentava della mancanza di qualcosa, si affrettavano a fare paragoni con la vita sacrificata dei tempi di guerra. Io, i miei fratelli e i miei cugini ascoltavamo con attenzione quelle storie che cercavamo di riprodurre nei nostri giochi. Non giocavamo a “guardie e ladri”, ma a “nazisti e partigiani”. Naturalmente volevamo essere tutti partigiani. Le loro vicende ci affascinavano. Mi piaceva assistere ai film che narravano la loro lotta per la libertà e la democrazia. E come se non bastassero tutte quelle testimonianze dirette, dal 1969 al 1975, cioè tra i miei 7 e 12 anni di vita, ogni giorno fui obbligato a convivere con la guerra del Vietnam. Il conflitto avveniva a migliaia di chilometri di distanza, ma la televisione, ancora in bianco e nero, ci portava la guerra a casa nostra. Era un continuo bombardamento di scene terrificanti che mi terrorizzavano. Ricordo che nemmeno il giorno di Natale era risparmiato. Difficilmente si riusciva ad ottenere una tregua. Seduti a tavola per il pranzo di Natale, la nostra gioia di stare insieme e celebrare la nascita del Signore della vita e della pace stonava con le scene di distruzione e di morte causate dalle bombe e dal gas napalm dei signori della guerra.
Mi sono sempre considerato fortunato a non aver mai provato sulla pelle un’esperienza così dura come la guerra, ma attraverso le narrazioni dei testimoni, si potevano ancora vedere e toccare le ferite che questa tragedia lascia nella vita delle persone a distanza di molti anni. Per molti, il dolore della guerra diventa un male incurabile. La guerra è la più grande pazzia dell’umanità. Come diceva Pablo Neruda, “Solo un pazzo può desiderare la guerra. La guerra distrugge la logica stessa dell’esistenza umana”. Sinceramente ero convinto che, dopo le drammatiche esperienze dei due conflitti mondiali, il mondo avrebbe fatto di tutto per evitare la guerra. Ma non è stato così. Dalla fine del secondo conflitto mondiale fino ai nostri giorni sono esplose centinaia di guerre in varie parti del mondo. Papa Francesco denuncia da sempre che c’è una terza guerra mondiale in corso in tutto il mondo combattuta in frammenti. In varie parti del pianeta, soprattutto nei territori più poveri e indifesi alla periferia del mondo, ai margini della macro politica e della grande economia, ci sono conflitti armati che sembrano di piccole proporzioni, ma che causano distruzioni e massacri ancora più terribili di quelli visti durante la Seconda Guerra Mondiale. I responsabili di questi conflitti sono i potenti che misurano forze fronteggiandosi senza esporsi su campi di battaglia aperti in terre che non sono loro e utilizzando risorse umane che non hanno niente a che vedere con i loro conflitti. Si tratta di solito di gente povera mandata letteralmente al macello. Chi se ne vede bene sono i mercanti d’armi sempre alla ricerca di nuovi mercati per piazzare la loro produzione mortale. I missionari che operano in Africa e che decidono di restare con la gente anche in tempi di guerra sono testimoni oculari di stragi esecutate con armi “made in…” paesi del primo mondo, compresi quelli che sembrano essere impegnati in negoziati di pace. Al poeta cileno già citato in precedenza, vincitore del Premio Nobel per la letteratura nel 1971, è attribuita una frase che elucida questa denuncia: “Le guerre sono combattute da persone che si uccidono senza conoscersi… per interessi di altri che si conoscono, ma che non si uccidono”. Innocenti si eliminano tra loro senza nemmeno sapere perché e senza avere problemi tra di loro, a volte fanno addirittura parte dello stesso popolo lacerato dall’odio imposto da persone la cui identità è a loro sconosciuta.
In questi giorni il mondo vive il dramma di un’altra guerra. Dopo giorni di attesa spossante, Putin, il “terribile” Zar della Russia, ha deciso di invadere l’Ucraina disprezzando tutti gli appelli alla pace che gli sono arrivati da ogni angolo del pianeta. Il mondo che ancora fa fatica a liberarsi della paura della pandemia piomba nel terrore della guerra. È il paradosso della follia umana. L’umanità che ha unito le forze, per salvarsi dalle grinfie del corona virus ha deciso di suicidarsi buttandosi ancora una volta nel baratro della belligeranza. Non interessano i motivi, la posta in gioco e l’identità dei contendenti. La scelta della guerra è un atto irrazionale ingiustificabile. In ogni caso solo vale la pena scommettere sulla pace. Non credo in una soluzione che venga dai potenti. Non mi aspetto niente di buono dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Non è minimamente in grado di adottare misure a favore della pace perché la Russia, insieme a Stati Uniti, Cina, Francia e Inghilterra, ha il diritto di veto. Questo non ha alcun senso. Nel Consiglio di Sicurezza ci sono paesi che, pur avendo il diritto alla parola, non possono prendere decisioni È come se dicessimo ai bambini che hanno il diritto di parlare, ma che quello che dicono è inutile, perché il diritto di decidere è prerogativa esclusiva degli adulti. Inoltre, la storia è cambiata molto rapidamente negli ultimi decenni. Può anche darsi che questi paesi con diritto di veto abbiano contribuito alla fine del nazifascismo ma oggi, come nel caso specifico della Russia, si comportano come potenze belligeranti che non rispettano l’autodeterminazione dei popoli e promuovono la guerra. Questo privilegio, pertanto, non ha più ragione di esistere.
Se la soluzione non passa per le mani dei potenti, non ci resta altro che ricorrere alla mobilizzazione popolare. Oltre a un’educazione sistematica alla pace che dovrebbe far parte della nostra vita quotidiana, trovo decisiva l’opzione per l’obiezione di coscienza e la disobbedienza civile. Disarmiamoci e disobbediamo a chi ci ordina di uccidere. L’obbedienza ai signori della guerra non è una virtù, ma un crimine contro l’umanità. Obbedire alla guerra ci rende complici di omicidio in massa. “A Norimberga e a Gerusalemme sono stati condannati uomini che avevano obbedito. L’umanità intera consente che essi non dovevano obbedire, perché c’è una legge che gli uomini non hanno ancora ben scritto nei loro codici, ma che è scritta nel loro cuore. Una gran parte dell’umanità la chiama legge di Dio, l’altra parte la chiama legge della coscienza. Quelli che non credono né all’una né all’altra non sono che un’infima minoranza malata. Sono i cultori dell’obbedienza cieca.” (Lorenzo Milani). Non schieriamoci dalla loro parte. L’unico fronte che ci deve impegnare tutti è quello destinato a combattere l’ingiustizia, la fame, la miseria e la violazione sistematica dei diritti umani. È una battaglia in cui le armi non servono, anzi aumentano i problemi e sottraggono risorse che possono essere messe a disposizione per salvare vite. È necessario lasciarsi disarmare dalla solidarietà e dall’amore. È drammatico verificare che bombe che costano fino a 100 mila dollari sono lanciate da aerei che costano milioni di dollari e volano a un costo di 40 mila dollari all’ora per uccidere persone che vivono con meno di un 1 dollaro al giorno. Questo è il più clamoroso scandalo della corsa alle armi e della guerra. Svuotiamo gli arsenali e riempiamoli di grano. È ora di reagire boicottando chi finanzia la guerra, denunciando chi la promuove e disarmando chi è costretto a combatterla. La disobbedienza civile alle leggi che promuovono l’ingiustizia e la violenza abita il cuore del cristianesimo. Il Vangelo è essenzialmente nonviolento. All’inizio del cristianesimo, l’atteggiamento prevalente era a favore della pace e contro la violenza, anche a costo di rischiare la propria vita, visto che i cristiani dei primi secoli rifiutavano persino il servizio militare. L’esempio viene dallo stesso di Gesù di Nazaret, che impedisce a Pietro di sfoderare la spada per difenderlo durante il suo arresto arbitrario. Dobbiamo riprenderci questa tradizione. L’opzione per il Vangelo ci pone obbligatoriamente dalla parte della pace. È una scelta che costa caro, soprattutto in questi tempi in cui la violenza diventa il paradigma dominante dell’agire umano, ma è un prezzo che tutti dobbiamo essere disposti a pagare se vogliamo vivere in armonia tra di noi. La pace dipende soltanto da noi. Rimbocchiamoci le maniche e diamoci da fare. (padre Saverio)